2012-06-15 15:31:55 UTC
Ignorate pure la mia storia, non c'è motivo per il quale voi dobbiate leggerla. Limitatevi a rispondere cose a caso, che ben vi riesce.
C'era una volta, nel paese degli animali, un tenero orsacchiotto. Si chiamava Gioioso, un nome che Papà Orso e Mamma Orsa avevano scelto per lui proprio a causa della sua frequente capacità d'essere felice.
Il giorno in cui Gioioso nacque uscendo dal pancione di Mamma Orsa, anziché piangere come tutti i cuccioli appena venuti alla luce, lui non si mostrò restio a ridere, anzi diede sfoggio di una gioia immensa, quasi avesse capito come venire al mondo fosse uno dei più grandi doni che la natura potesse fargli. Gioioso visse un'infanzia felicissima: i suoi genitori sapevano usare la carota quand'era il momento (e lo era spesso, Gioioso era un orsacchiotto tranquillissimo) e il bastone quando era necessario. Passarono così quindi le giornate di Gioioso, tra uno zuccherino offertogli dalla mamma e qualche ora passata a giocare a palla coi suoi amici al bosco o a sguazzare nel lago.
Gioioso crebbe.
Diventò un orsacchiotto grande, era giunta l'ora di cominciare la scuola. Gioioso passava gli ultimi mesi estivi, quelli che lo separavano dall'inizio del suo nuovo lavoro da studente a tempo pieno, fantasticando sul nuovo posto in cui sarebbe stato:''Voglio diventare un orso intelligente e acculturato!''. Così pensava:''Voglio rendere orgogliosi di me Mamma Orsa e Papà Orso, studierò e diventerò un affermato filosofo e poeta, sviscererò il mondo e scaverò a fondo nei segreti della natura coi miei versi.''
Frequentando la scuola, Gioioso iniziò a cambiare. Essa era per lui, così felice, una triste necessità: assetato di cultura, amava imparare. Ma per ogni cosa che via via andò imparando, Gioioso perse un po' della sua felicità che finiva per tramutarsi in dolore dell'animo. Imparava di Malthus e delle sue teorie, di Hobbes che parlava del modo maligno di essere del creato. Gioioso finalmente comprendeva la natura di coloro che lo circondavano.
Poco più che adolescente diventò un vero sapiente: l'età della crescita fisica e mentale (l'adolescenza, quella che solitamente è una fase di regresso che troviamo tra due fasi di progresso, quella dell'infante e dell'adulto) corrispose in lui con l'età maggiore di cui tanto farneticò Kant. Abbandonò del tutto quella che fu per lui l'età dell'ignoranza e della felicità, si avvicinò a quella della tristezza dovuta alla sapienza. Gioioso era un nome che non gli si addiceva più: palesava in modo così ovvio la sua ignoranza...
Si volse per reazione a tutto quanto sapesse di ribelle alle leggi umane, e maturò il cervello nelle speculazioni della psiche dell'uomo e del mistero della natura. Egli troppo vide e nel suo animo amareggiato la fonte del sentimento inaridì. Volle perciò lanciarsi nella vita per eccitare con le sensazioni più forti le fibre paralizzate dell'animo suo. Lo fece, ma non potè riacquistare la spontaneità perduta e si accorse d'essere sempre il medesimo. Così con calma e ragionata risoluzione decise di uccidersi, restituendo alla madre terra le energie che in lui combattevano inutili.
Liberamente ispirata da chi segue: Pearl Jam, Riccioli d'oro, Carlo Michelstaedter.
Buonanotte.